top of page

Critica

Può capitare, ma in realtà non molto spesso, che da un'idea non esageratamente originale nasca una grande sceneggiatura, un film cult.
Se si analizzano infatti i contesti e i personaggi in maniera superficiale, risultano forse scontati, banali e riciclati poichè l'immaginario cinematografico si può considerare forse saturo di poliziotti corrotti, città violente e anti-eroi insospettabili, proprio come il nostro protagonista.

 

Cosa ha allora di assolutamente straordinario questo film?
Forse il percorso di crescita condiviso da Léon e Mathilda, due protagonisti così diversi. Un film pieno di sottile ironia, che si fa beffa dei classici stereotipi cinematografici e vince su tutti i fronti.
Una città di sfondo, New York, assolutamente strepitosa, ricca di colore e luce, mai buia o spenta, tristemente consapevole e arresa alla corruzione violenta e razzista che popola le sue periferie. E' in una di queste zone al margine che la storia inizia il suo flusso.

 

Leon è un immigrato italiano di età non precisata, di luogo di origine non identificato, senza un passato, ma soprattutto senza un futuro. Ogni giorno, dopo aver compiuto il suo lavoro da killer che lui definisce di "pulizia", torna nella sua abitazione del momento, spoglia e incolore, chiude tutte le finestre e le tende e, con un bicchiere di latte freddo davanti, comincia il suo rituale di amorevole cura verso la sua unica amica, una pianta: la annaffia, le lucida le foglie e la fa riposare all'ombra della stanza dalla fatica del sole mattutino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non possiede quasi nulla, nemmeno la cultura alfabeta; porta con se solo un arsenale militare di armi di ogni genere, un capellino a zuccotto grigio che lo protegge, secondo lui, dal raffreddore, e degli occhiali da sole che non toglie nemmeno per "dormire". E' un uomo strano, silenzioso e senza radici come lui afferma essere la sua pianta, che non riposa su un letto da anni, ma esclusivamente su una poltrona con la pistola sempre in una mano. La sua vita da sicario è iniziata anni prima, appena arrivato in America, quando raggiunse diciannovenne suo padre, anche egli killer di professione, nella Little Italy di New York. Da quel momento Tony, il suo datore di lavoro, è diventato la sua famiglia, la sua guida e la sua banca personale; per tutti quei volti da lui uccisi non ha mai visto un soldo; Tony non si fida delle banche, e amando, dice, Leon come un figlio, li custodisce per lui.

 

Mathilda (una giovanissima Natalie Portman, già imbarazzantemente talentuosa) è nata apposta, forse, per cambiargli il percorso. Abitano nello stesso palazzo, sullo stesso piano, a soli pochi metri di distanza. Di lei vede solo che è ancora una bambina dai capelli a caschetto, con troppi lividi sul corpo per le percosse del padre, una famiglia allo sbando, la sigaretta tra le dita e uno sguardo smaliziato che ammicca al suo solo passare. Ma sa che c'è qualcosa di più in quella ragazzina con short e maglietta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Sono le 12.00 e degli uomini guidati da un pazzoide in un vestito firmato irrompono nell'appartamento vicino al suo; non vede molto dallo spioncino della sua porta, sente solo spari, spari e grida, poi, silenzio. All'improvviso Mathilda, che ripetutamente suona alla sua porta con le lacrime agli occhi in cerca di un riparo sicuro che la salvi dalla sorte dei suoi genitori, della sorella e del fratellino di soli 4 anni. Lo supplica di aprirle, con lo sguardo a terra e la busta del market stretta a sé, quella busta per cui è uscita da casa solo 5 minuti che scoppiasse l'inferno.
La luce dell'appartamento di Leon la avvolge, la porta è stata aperta.
E' da qui che le loro vite si intrecciano; scandite dalla musica di Bjork le ore, i giorni passano velocemente e Mathilda prende del suo inaspettato salvatore le sembianze, con tanto di occhiali e capellino, le abitudini, con il bicchiere sempre pieno di latte e gli addominali ogni mattina, fino all'immedesimazione totale: vuole fare quello che fa lui, vuole essere come lui.
Riesce a convincerlo in maniera assolutamente adorabile ad iniziarla alle regole (mai donne e bambini) e agli strumenti dei killer professionisti; riesce a convincerlo, persino, a lavorare e vivere in tandem, quasi in simbiosi.
Lei con il suo desiderio incontrollabile di vendetta non sa ancora però in cosa sta coinvolgendo Leon e se stessa. Solo in un secondo momento, quando ormai la volontà di uccidere i carnefici della sua famiglia è diventata per lei insopportabile, saprà chi è l'uomo responsabile di tutto.

Il mio omaggio a Léon

Stan è un detective della DEA, il reparto antidroga della polizia. Drogato e corrotto, ha contatti e lavori con tutte le cosche malavitose della città, e con un seguito di suoi affezionati agenti, governa il traffico dell'eroina delle periferie. Uno strepitoso Gary Oldman da corpo al personaggio più convincente del film, un personaggio carico di parole di amore verso il sangue, che prova piacere nell'uccidere solo persone fortemente aggrappate alla vita, che spara e giubila delle morti al ritmo nella sua testa solo di Beethoven, Mozart, secondo lui, è troppo lento per quelle situazioni.

L'amore che Leon inizia a provare per quella bambina troppo cresciuta lo insinua, lo travolge. Uccidere il braccio destro di Stan, Malki, durante un affare con la mafia cinese... sembrerebbe la mossa decisiva di Leon, uno scacco matto al suo nuovo nemico. Qualcosa però va storto; mentre Leon uccide Malki, Mathilda decide di seguire Stan, fin dentro le mura del dipartimento, per ucciderlo, facendosi però scoprire. E' nel momento in cui Leon capisce dov'è e cosa ha fatto Matilda, che il suo destino si compie. Uccide in soli dieci minuti, troppi per il tassista che lo sta aspettando fuori, mezzo distretto, e porta via Mathilda. I giochi sono fatti. Tony, interrogato da Stan su chi siano questo puro sangue italiano e questa bambina dagli occhi pieni di dolore che lo inseguono, cede. L'agguato per Bonnie e Clide scatta la mattina seguente.

 

La notte è stata per loro dolce e avvolgente, abbracciati fino allo spuntare del giorno nel letto, insieme. Leon ora sa di aver riscoperto la vita, quel senso di aspettativa per il futuro mai provato, la gioia di dormire su un letto senza paure, il desiderio di mettere radici in un luogo, con una persona. Un amore platonico tra una ragazzina e un uomo, entrambi diventati troppo in fretta adulti. E', per lui, un ritorno a quel passato di dolore, prima dell'America, per l'uccisione della donna che amava da parte del padre di lei... troppo povero per una ragazza come quella. Riassapora con Mathilda quella voglia di scappare lontano, di dimenticare armi e denaro. 

Ma per loro il destino è diverso: Leon durante l'agguato mortale in cui intervengono tutte le forze di polizia muore, non senza aver prima confessato a lei quanto la ami e quanto le abbia cambiato la vita il suo "incontro-scontro" con lei. La salva per la seconda volta creandole una via di fuga dall'appartamento in cui i cadaveri dei poliziotti non si contano più su due mani. La vendica uccidendo anche, nel momento della morte, il suo nemico che, a tradimento, vigliaccamente e per paura, l'ha colpito alle spalle, quando la libertà per lui e per Matilda sembrava vicina quasi da essere afferrata. Lo scherzetto dell'anello e la bomba che esplode portandosi via entrambi. 

E di nuovo Mathilda si ritrova sola al mondo, senza un posto o qualcosa da fare. La scuola, il collegio che i suoi genitori avevano pagato per lei con quei soldi sporchi per cui sono stati uccisi, diventa la sua casa, non solo sua, ma anche di Leon. Scava una piccola fossa, e ripone quella piccola amica del suo amore dentro la terra, le radici sono state messe, mentre in sottofondo Sting canta "Shape of my heart".
Il film si conclude con uno sguardo ancora a quella città ferita ma stupenda che ha fatto da sottofondo a questa nuova favola moderna. Besson ci regala, credo, il suo film più riuscito per perfezione di immagini ma anche per delle fotografie incancellabili di quegli sguardi, impenetrabili di Leon e innocenti di Mathilda. Con questo film il grande pubblico ha conosciuto un genio convincente e affascinante: Jean Reno, che incornicia perfettamente il suo personaggio, che lo rende inimitabile con il suo broncio e la barba incolta ma con le sue movenze più intime da bambino. Assolutamente perfetto.

 

"Ho amato pochi film come Léon" - Questo racconto metropolitana dolce e spietato riassume in due ore e mezza uno sterminato universo di emozioni, racchiude il variegato ed insondabile panorama dei sentimenti umani, dandone un affresco quanto mai realistico, crudele e tenero allo stesso tempo. 

I protagonisti di questa tragedia d’amore ambientata nei bassifondi di New York sono Léon, il più abile tra i sicari della mala, capace di uccidere qualunque obiettivo gli venga segnalato, e Mathilda, una dodicenne peperina e smaliziata cresciuta in un contesto familiare sgradevole, con un padre violento ed una madre menefreghista.

Léon è un tipo cupo, solitario, fuori dal mondo. L’unica sua compagna è la piantina che cura con un amore esasperato ed il solo lavoro che sa fare sono “le pulizie”. Non ha interesse per i soldi, non ha ambizioni né speranze, ma paradossalmente è un uomo di sani principi, si impone lui stesso delle regole che stridono con il suo ruolo di killer senza scrupoli (“nè donne né bambini”).

Mathilda invece è una ragazzina sveglia, attiva, che vuole evadere dal contesto degradante e spersonalizzante in cui vive, vuole crescere subito, vuole reagire all’oppressione di cui è sempre stata vittima.

I destini dei due finiranno per intrecciarsi, diventeranno una coppia inscindibile, il loro legame pieno di contraddizioni non può non colpire lo spettatore, non può non coinvolgerlo. Lèon insegnerà a Mathilda la sua professione ma allo stesso tempo la piccola bimba lo istruirà sulla vita, gli schiuderà orizzonti mai nemmeno immaginati, lo farà uscire dal torpore in cui si era richiuso.

La loro storia d’amore è dolce, platonica ed impossibile ma non per questo meno vivace, frizzante, struggente.

Ma il film non si limita a questo. Non si scade mai nel melenso, a momenti di una tenerezza infinita si alternano scene d’azione dinamiche ed energiche. 

I due non sono immersi in universo a sé stante, ma vivono nella squallida quotidianità di una realtà sporca e degradata com’è quella dei bassifondi metropolitani newyorchesi. I valori qui spesso sono invertiti, come la parabola dei protagonisti lo potrà dimostrare: il sicario qui veste i panni del buono, sono i poliziotti che sono i veri corrotti, il manifesto del male, sono loro che impersonificano i valori distorti del mondo d’oggi: lo psicotico, drogato, allucinato Stanfield ne è un’icona indimenticabile, magistrale sono tutti i punti di vista.

La sequenza finale resta una delle pagine più belle del cinema: (chi non lo avesse visto non legga oltre!) un Léon che ha superato mille difficoltà, ha combattuto contro tutti i reparti della polizia possibili immaginabili, ha trovato il modo per farla franca. Vestito da poliziotto sta per uscire dal suo condominio, dove si era asserragliato. Ormai è fatta, ha il cuore colmo di speranza, vede l’uscita, non c’è più nessuno. Ed all’improvviso la telecamera ci inonda con ciò che lui stesso vede, siamo catapultati nel film in prima persona, siamo noi Léon. La porta, la salvezza, la libertà, l’amore, la vita, Mathilda, tutto è lì a due passi. Ed ecco la porta distorcersi, la nostra visione viene ballonzolata di qua e di là, non è più possibile raggiungere nulla. Siamo a terra, Lèon non ha fatto i conti con la furbizia e la spietatezza del suo antagonista, che lo aspettava, che aveva intuito, che gli piazza una pallottola in testa. Ma Léon non se ne andrà così e chi ha visto il film sa che la sua uscita di scena è degna di lui.

Ho amato pochi film come Léon. E non smetterò mai d’amarlo.

 

SERENA PICONE

 

 

All rights reserved © 2013 by LEONMANIA

 

  • Facebook App icona
bottom of page